Nonostante fosse aprile già da qualche giorno, l’albero di pesco tanto caro a NonnaNenna tardava a vestirsi di rosa. Il cielo, color asfalto, faceva uno strano contrasto con i colori decisi delle primule, esposte sui balconi a mo’ di rito propiziatorio, ad evocare la primavera.
Cheddonna, costretta in casa da un’influenza anch’essa fuori stagione, guardava il mondo fuori dalla finestra, lieta, per una volta, di non dover uscire, e si godeva quel supplemento di inverno casalingo, fatto di tè bollente e di copertina calda. Eppure si sentiva stonata: fuori luogo e fuori tempo. Sentiva che il suo corpo e la sua anima, come i fiori là fuori, avevano bisogno di luce e calore, che quell’inverno protratto aveva qualcosa di innaturale, di stonato, appunto.
Un uccellino, che si era posato sull’albero del giardino condominiale, doveva pensarla allo stesso modo; il suo cinguettio, dapprima debole e incerto, era diventato via via più risoluto, quasi prepotente.
Suonava come un ultimatum rivolto verso il cielo: ridateci la primavera!
Un uccellino, che si era posato sull’albero del giardino condominiale, doveva pensarla allo stesso modo; il suo cinguettio, dapprima debole e incerto, era diventato via via più risoluto, quasi prepotente.
Suonava come un ultimatum rivolto verso il cielo: ridateci la primavera!
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